Lo sviluppo del linguaggio nel bambino ed eventuali patologie [prima parte]
Dopo aver parlato del sonno (e disturbi associati) del bambino, proviamo fare qualche osservazione sul linguaggio, su come e quando il pargolo impara a parlare. Le patologie in questo ambito saranno prese in considerazione invece nel prossimo articolo per dare loro una particolare attenzione.
Spesso si sentono genitori o nonni dire con meraviglia ed orgoglio: il mio bambino o il mio nipotino ha detto “mamma” o “pappa”, o “nonna”! Chi ascolta potrebbe confrontare la prestazione di quel bambino con quella del proprio figlio e valutare erroneamente l’eventuale precocità, similitudine o ritardo. A questo proposito è bene ricordare che il linguaggio si sviluppa in tempi diversi a seconda delle caratteristiche cognitive, relazionali, affettive e senso-motorie di ciascun bambino: in parole semplici il quando e come il bambino comincia a parlare dipende dalle sue caratteristiche personali, ma anche dall’ambiente in cui vive e da come viene stimolato e sollecitato a comunicare. È noto infatti che fare paragoni tra i nostri figli e quelli degli altri mina la loro autostima peggiorando inevitabilmente le loro capacità, quindi si consiglia di porre molta attenzione in questo.
In ogni caso proviamo a sintetizzare le tappe fondamentali dell’apprendimento al linguaggio, prendendo le età solo in modo indicativo e, se per caso si avessero dei dubbi, chiedere al proprio pediatra o ad altra figura esperta.
Come sicuramente tutti sappiamo, i bambini, in un primo momento, comunicano i loro bisogni con diversi tipi di smorfie e di pianto, oppure noi adulti intuiamo che va tutto bene se i nostri bimbi sorridono o sono rilassati. Questi comportamenti arricchiti poi da gesti e vocalizzi sono più o meno rinforzati dalle nostre stesse reazioni.
Intorno ai 3 mesi di vita si presentano i primi vocalizzi, pernacchie e altri suoni e l’attenzione del bambino sull’adulto appare più focalizzata grazie ad un maggiore sviluppo sia del sistema uditivo che visivo; il piccolo, quindi, inizia ad imitare ed interagire con chi si prende cura di lui.
Dai 6 mesi in poi compare la lallazione, vale a dire la ripetizione di una sillaba ad esempio “ma ma”, “la la”, “pa pa” che in realtà è una sorta di gioco, di allenamento spontaneo, senza un vero significato comunicativo. A questo punto se il piccolo viene rinforzato, migliora sia per quanto riguarda la quantità di sillabe, che per quanto riguarda la pronuncia e l’intonazione della voce.
A 8-9 mesi nascono le prime associazioni di due sillabe diverse, ma è solo intorno ai 12 mesi che il bambino comunica in modo intenzionale, utilizzando le prime parole. In seguito nasce il gioco simbolico, vale a sire il bambino utilizza un oggetto facendo finta che sia qualcos’altro.
Ai 18 mesi insorgono invece i suoni onomatopeici, nomi di persona, di cibi e oggetti familiari e/o di uso quotidiano. Il bambino in questa fase comprende molto di più di quello che riesce a dire ed è proprio in questo periodo che l’adulto deve porre molta attenzione di cosa dice in presenza del bambino, perché il fatto che non ripeta certi vocaboli o sembri non ascoltare, quando meno ce lo aspettiamo, può dire cose che, per educazione, tenderemmo a proibire, creandogli così solo confusione.
Dai 18 mesi in poi i vocaboli aumentano in un modo importante e a 2 anni il bambino comunica grazie alla padronanza di circa 200 parole. A questo punto le caratteristiche dell’ambiente del bambino e gli stimoli a cui egli viene sottoposto influenzano in modo importante il linguaggio. Nascono poi le prime frasi, fino ad arrivare a 3-4 anni ad un linguaggio simile a quello dell’adulto.
Nel prossimo articolo (3 agosto 2019) ci concentreremo invece sulle eventuali patologie del linguaggio.
A cura della D.ssa Marica Malagutti
Psicologa specializzata in Psicodramma analitico, Psicologia forense ed in Diritti Umani e Cooperazione dello Sviluppo